31 gennaio 2008
Ops!
Troppo neri per vivere con i bianchi…
troppo bianchi per essere allevati da una mamma nera.
Unica alternativa, a parte i pochi “fortunati” adottati come inservienti da famiglie bianche “perbene”, lo squallore e la violenza di oscuri e lontani orfanotrofi.
Fu questo il destino delle centinaia e centinaia di bambini nati da donne aborigene la cui grande colpa fu quella di giacere, quasi mai per amore, con uomini bianchi che, sperduti in una terra ostile e selvaggia, cercavano qualche emozione o anche un po’ di calore per alleviare le loro dure e spesso sofferte vite di pionieri in frontiere sempre più nuove e sempre più lontane.
Un destino segnato da una legge dello Stato emanata intorno al 1920 ed abolita definitivamente soltanto nella prima metà degli anni 70.
Tutti i bambini che avevano anche una sola goccia di sangue bianco nelle vene, ma a volte anche bambini completamente aborigeni, furono sistematicamente strappati alle loro famiglie d’origine per ricevere una “educazione” che li allontanasse il più possibile dalle loro tradizioni tribali. L’educazione “britannica”, della quale i bianchi australiani andavano tanto orgogliosi, era impartita con la violenza, con le privazioni, con la sofferenza in lontanissimi istituti gestiti da religiosi.
Tra le pareti di quegli istituti, le violenze fisiche e psicologiche erano all’ordine del giorno e nessuno ne parlava, nessuno aveva il coraggio di denunciare. Tutto si consumava nel più assoluto silenzio del mondo.
Secondo i disegni del governo australiano, tale politica avrebbe, nel tempo, garantito la cancellazione totale della cultura aborigena mediante l’assimilazione forzata a quella dei bianchi. Una volta usciti da quegli istituti, ad attenderli c’era solo la fatica del lavoro duro alle dipendenze dei ricchi possidenti e una vita priva di prospettive. [*]
E’ di ieri la notizia che il Governo australiano ha inteso impegnarsi a presentare “scuse formali” alle vittime della pratica politica che gli aborigeni ricordano tristemente con il nome di “generazione rubata”.
Nello stesso tempo però viene prontamente e fermamente esclusa ogni ipotesi di un eventuale risarcimento economico ai 13.000 aborigeni oggetto di questa violenza.
In buona sostanza si preannuncia un gran bel discorso di cui è possibile anticipare alcuni salienti passaggi:
Quando mettemmo piede su questa terra eravate in 2 milioni, oggi non siete più di 300mila… pardon!
Per quasi due secoli vi abbiamo privati della dignità di esseri umani (ancora negli anni ’60 lo status giuridico dei discendenti aborigeni ricadeva nelle leggi di «protezione della flora e della fauna»)… sorry!
Troppo spesso abbiamo violentato le vostre mamme, Ops!
Vi abbiamo impedito perfino di poter ricordare che faccia avessero le vostre mamme; vi abbiamo rinchiuso in istituti ed orfanotrofi e abbiamo stuprato il 90 per cento delle ragazze che fuggivano da lì…
ma ora intendiamo formalmente scusarci.
E mannaggia al diavoletto che ci ha fatto li-ti-gar!
23 gennaio 2008
Ombre
La storia che segue non ha mai trovato ospitalità sui libri di “storia”. Nessuno storico ha mai voluto assumersi l’onere di raccontarla. Mai nessun libro, resoconto o pubblicazione a tutt’oggi ne ha approfondito le dinamiche, le responsabilità, neanche laddove si fossero trattati argomenti analoghi.
Solo poche tracce giunte fino a noi attraverso articoli e citazioni sparse che dobbiamo unicamente alla caparbietà di pochi ricercatori, ai reperti rinvenuti nel luogo degli avvenimenti, ai racconti tramandati secondo la tradizione orale ai discendenti delle vittime.
Vittime deliberatamente dimenticate come la storia che le ha rese tali. Neanche una targa o un cartello ad indicare il luogo di quel primordiale olocausto di 37 uomini, 90 donne e 50 bambini trucidati “per errore”.
All’origine dei fatti vi fu un furto di cavalli ad un commerciante del Montana. Del furto venne incolpato un guerriero Piedi neri di nome Owl Child che affermava essersi appropriato dei cavalli come risarcimento di un debito mai estinto. Ciò non bastò a evitargli l’esemplare punizione che il commerciante e suo figlio vollero personalmente infliggergli : frustato brutalmente davanti ai suoi compagni. Un affronto intollerabile per un guerriero; tant’è che ben presto il suo orgoglio ferito lo indusse a vendicare l’umiliazione subita: il commerciante venne ucciso e suo figlio ferito gravemente.
L'esercito degli Stati Uniti, anche per rispondere alla richieste di intervento dei coloni americani, ordinò quindi alla Confederazione delle tribù indiane dei Piedi Neri che Owl Child venisse a sua volta ucciso e che il corpo fosse riconsegnato entro due settimane.
Ciò nonostante Owl Child trovò rifugio e protezione presso la banda guidata da Mountain Chief, un gruppo ostile alla colonizzazione dei bianchi e abituato a difendere in battaglia il diritto di vivere liberamente nella propria terra.
A quel punto fu prontamente organizzata una spedizione punitiva sotto il comando del Maggiore Eugene Baker. Alcune guide indiane, che avevano il compito di seguire le tracce della banda di Mountain Chief, localizzarono ben presto il suo accampamento nei pressi del fiume Marias (così chiamato dal suo “scopritore” capitano Lewis).
Domenica 23 Gennaio 1870, poco prima dell’alba, era già tutto predisposto: il maggiore Baker impartiva le ultime consegne per l’imminente attacco che si sarebbe avvalso di ben quattro compagnie di cavalleria, 55 soldati di fanteria a cavallo, e un’intera compagnia di fanteria.
L’accampamento era irrimediabilmente circondato ed i suoi guerrieri non si trovavano là a difenderlo: erano ancora a caccia.
Non appena cominciò ad albeggiare Joe Kipp dovette verosimilmente strabuzzare gli occhi; era uno degli scout che avevano guidato l’esercito all’accampamento. Fino a quel momento l’oscurità della notte gli aveva nascosto il tragico errore/orrore che stava per compiersi: quei colori, quei disegni sulle tende, erano inequivocabili segni di appartenenza ad un gruppo di indiani che nulla aveva a che fare con Mountain Chief né con il ricercato. Si trattava invece dei pacifici Piedi Neri guidati dal capo Heavy Runner che appena 23 giorni prima aveva sottoscritto un accordo con l’esercito.
Joe Kipp corse dunque ad avvisare Baker il quale non si scompose: erano pur sempre indiani Piedi Neri e per lui non faceva differenza a quale gruppo appartenessero; in passato o in futuro qualche colpa da pagare senz’altro ci sarebbe stata. Impose quindi il silenzio ed impartì l’ordine di uccidere Kipp se solo avesse provato ad informare il nemico.
I pacifici Indiani vennero quindi attaccati di sorpresa e senza alcuna possibilità di difendersi.
Lo stesso capo Heavy Runner venne freddato da un colpo di arma da fuoco mentre accorreva dalla sua tenda urlando di fermarsi; in una mano sventolava l’accordo sottoscritto pochi giorni prima e nell’altra la bandiera americana che aveva ricevuto in segno di protezione da parte dell’esercito.
Le tende vennero bruciate insieme ai loro occupanti, così anche le riserve di cibo. I proiettili dei fucili erano talmente grandi e potenti da trapassare i corpi delle donne e colpire i bambini che intendevano proteggere.
I numeri di quell’orrore, (mis)conosciuto come il Massacro di Marias River (o di Baker), sono impressionanti: 37 uomini, 90 donne e 50 bambini morti. A questi si aggiungono altri 140, tra donne e bambini, prima catturati come prigionieri e poi abbandonati al gelo invernale, senza rifugio, senza cibo e soprattutto senza possibilità alcuna di sopravvivere. Baker dichiarò in seguito di averli “rilasciati indenni”; in realtà aveva saputo che erano ammalati di vaiolo e quindi se ne sbarazzò senza tanti scrupoli.
Caduti dell’esercito: 1.
Questo è tutto ciò che resta di una storia di cui non si ha memoria.
Non è un caso che io abbia scelto come immagine di apertura per questo post un collage realizzato dai bambini ebrei che furono reclusi a Terezin, così come non è casuale la mia decisione di trattare una storia pressoché sconosciuta mentre fervono i preparativi per la celebrazione della Giornata della Memoria.
No, non è certamente un caso...
Anne D. Dutlinger, nella prefazione del libro "Art, Music and Education as Strategies for Survival. Theresienstadt 1941-45", rileva l’impressionante similarità tra i collages fatti dai bambini ebrei prigionieri nel campo di Terezin e i disegni sui quaderni a righe, che i bianchi usavano per la contabilità, fatti dagli indiani prigionieri nei forti negli anni Settanta dell’Ottocento. Circostanze diverse, identico impatto sullo spirito e sull’animo. Queste sono le ombre della Storia. Sono ombre americane, ruandesi, cecene, ex-Jugoslave. Sono ombre di popoli. Ombre di etnie. Sono persone diventate ombre perché perseguitate da altre persone in nome di una guerra che è innescata da motivi diversi ma è sempre la stessa. E il suo nome è follia. [*]
Solo poche tracce giunte fino a noi attraverso articoli e citazioni sparse che dobbiamo unicamente alla caparbietà di pochi ricercatori, ai reperti rinvenuti nel luogo degli avvenimenti, ai racconti tramandati secondo la tradizione orale ai discendenti delle vittime.
Vittime deliberatamente dimenticate come la storia che le ha rese tali. Neanche una targa o un cartello ad indicare il luogo di quel primordiale olocausto di 37 uomini, 90 donne e 50 bambini trucidati “per errore”.
All’origine dei fatti vi fu un furto di cavalli ad un commerciante del Montana. Del furto venne incolpato un guerriero Piedi neri di nome Owl Child che affermava essersi appropriato dei cavalli come risarcimento di un debito mai estinto. Ciò non bastò a evitargli l’esemplare punizione che il commerciante e suo figlio vollero personalmente infliggergli : frustato brutalmente davanti ai suoi compagni. Un affronto intollerabile per un guerriero; tant’è che ben presto il suo orgoglio ferito lo indusse a vendicare l’umiliazione subita: il commerciante venne ucciso e suo figlio ferito gravemente.
L'esercito degli Stati Uniti, anche per rispondere alla richieste di intervento dei coloni americani, ordinò quindi alla Confederazione delle tribù indiane dei Piedi Neri che Owl Child venisse a sua volta ucciso e che il corpo fosse riconsegnato entro due settimane.
Ciò nonostante Owl Child trovò rifugio e protezione presso la banda guidata da Mountain Chief, un gruppo ostile alla colonizzazione dei bianchi e abituato a difendere in battaglia il diritto di vivere liberamente nella propria terra.
A quel punto fu prontamente organizzata una spedizione punitiva sotto il comando del Maggiore Eugene Baker. Alcune guide indiane, che avevano il compito di seguire le tracce della banda di Mountain Chief, localizzarono ben presto il suo accampamento nei pressi del fiume Marias (così chiamato dal suo “scopritore” capitano Lewis).
Domenica 23 Gennaio 1870, poco prima dell’alba, era già tutto predisposto: il maggiore Baker impartiva le ultime consegne per l’imminente attacco che si sarebbe avvalso di ben quattro compagnie di cavalleria, 55 soldati di fanteria a cavallo, e un’intera compagnia di fanteria.
L’accampamento era irrimediabilmente circondato ed i suoi guerrieri non si trovavano là a difenderlo: erano ancora a caccia.
Non appena cominciò ad albeggiare Joe Kipp dovette verosimilmente strabuzzare gli occhi; era uno degli scout che avevano guidato l’esercito all’accampamento. Fino a quel momento l’oscurità della notte gli aveva nascosto il tragico errore/orrore che stava per compiersi: quei colori, quei disegni sulle tende, erano inequivocabili segni di appartenenza ad un gruppo di indiani che nulla aveva a che fare con Mountain Chief né con il ricercato. Si trattava invece dei pacifici Piedi Neri guidati dal capo Heavy Runner che appena 23 giorni prima aveva sottoscritto un accordo con l’esercito.
Joe Kipp corse dunque ad avvisare Baker il quale non si scompose: erano pur sempre indiani Piedi Neri e per lui non faceva differenza a quale gruppo appartenessero; in passato o in futuro qualche colpa da pagare senz’altro ci sarebbe stata. Impose quindi il silenzio ed impartì l’ordine di uccidere Kipp se solo avesse provato ad informare il nemico.
I pacifici Indiani vennero quindi attaccati di sorpresa e senza alcuna possibilità di difendersi.
Lo stesso capo Heavy Runner venne freddato da un colpo di arma da fuoco mentre accorreva dalla sua tenda urlando di fermarsi; in una mano sventolava l’accordo sottoscritto pochi giorni prima e nell’altra la bandiera americana che aveva ricevuto in segno di protezione da parte dell’esercito.
Le tende vennero bruciate insieme ai loro occupanti, così anche le riserve di cibo. I proiettili dei fucili erano talmente grandi e potenti da trapassare i corpi delle donne e colpire i bambini che intendevano proteggere.
I numeri di quell’orrore, (mis)conosciuto come il Massacro di Marias River (o di Baker), sono impressionanti: 37 uomini, 90 donne e 50 bambini morti. A questi si aggiungono altri 140, tra donne e bambini, prima catturati come prigionieri e poi abbandonati al gelo invernale, senza rifugio, senza cibo e soprattutto senza possibilità alcuna di sopravvivere. Baker dichiarò in seguito di averli “rilasciati indenni”; in realtà aveva saputo che erano ammalati di vaiolo e quindi se ne sbarazzò senza tanti scrupoli.
Caduti dell’esercito: 1.
Questo è tutto ciò che resta di una storia di cui non si ha memoria.
Non è un caso che io abbia scelto come immagine di apertura per questo post un collage realizzato dai bambini ebrei che furono reclusi a Terezin, così come non è casuale la mia decisione di trattare una storia pressoché sconosciuta mentre fervono i preparativi per la celebrazione della Giornata della Memoria.
No, non è certamente un caso...
Anne D. Dutlinger, nella prefazione del libro "Art, Music and Education as Strategies for Survival. Theresienstadt 1941-45", rileva l’impressionante similarità tra i collages fatti dai bambini ebrei prigionieri nel campo di Terezin e i disegni sui quaderni a righe, che i bianchi usavano per la contabilità, fatti dagli indiani prigionieri nei forti negli anni Settanta dell’Ottocento. Circostanze diverse, identico impatto sullo spirito e sull’animo. Queste sono le ombre della Storia. Sono ombre americane, ruandesi, cecene, ex-Jugoslave. Sono ombre di popoli. Ombre di etnie. Sono persone diventate ombre perché perseguitate da altre persone in nome di una guerra che è innescata da motivi diversi ma è sempre la stessa. E il suo nome è follia. [*]
21 gennaio 2008
Dei delitti contro la integrità e la sanità della stirpe
Codice Penale
LIBRO SECONDO
DEI DELITTI IN PARTICOLARE
TITOLO X
Dei delitti contro la integrità e la sanità della stirpe
Art. 545.
Aborto di donna non consenziente.
Chiunque cagiona l'aborto di una donna, senza il consenso di lei, è punito con la reclusione da sette a dodici anni.
Art. 546.
Aborto di donna consenziente.
Chiunque cagiona l'aborto di una donna, col consenso di lei, è punito con la reclusione da due a cinque anni.
La stessa pena si applica alla donna che ha consentito all'aborto.
Si applica la disposizione dell'articolo precedente:
1. se la donna è minore degli anni quattordici, o, comunque, non ha capacità d'intendere o di volere;
2. se il consenso è estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero è carpito con inganno.
Art. 547.
Aborto procuratosi dalla donna.
La donna che si procura l'aborto è punita con la reclusione da uno a quattro anni.
LIBRO SECONDO
DEI DELITTI IN PARTICOLARE
TITOLO X
Dei delitti contro la integrità e la sanità della stirpe
Art. 545.
Aborto di donna non consenziente.
Chiunque cagiona l'aborto di una donna, senza il consenso di lei, è punito con la reclusione da sette a dodici anni.
Art. 546.
Aborto di donna consenziente.
Chiunque cagiona l'aborto di una donna, col consenso di lei, è punito con la reclusione da due a cinque anni.
La stessa pena si applica alla donna che ha consentito all'aborto.
Si applica la disposizione dell'articolo precedente:
1. se la donna è minore degli anni quattordici, o, comunque, non ha capacità d'intendere o di volere;
2. se il consenso è estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero è carpito con inganno.
Art. 547.
Aborto procuratosi dalla donna.
La donna che si procura l'aborto è punita con la reclusione da uno a quattro anni.
Questo era il codice Rocco che ha disciplinato in materia di aborto (e contraccezione) fino al 18 maggio 1978.
Il 21 gennaio 1977 (31 anni oggi) si compie il primo passo verso il superamento della vecchia norma con la votazione alla Camera dei Deputati (310 favorevoli e 296 contrari) di una nuova legge che, promulgata dopo un tormentato iter, avrebbe finalmente dichiarato non perseguibile penalmente l'interruzione di gravidanza attuata a determinate condizioni previste dalla legge medesima: la 194.
Prima di allora, grazie all'industria dell'aborto clandestino, in Italia si arricchirono in molti. Si calcola che tale attività producesse in Italia circa 3 milioni di aborti oltre alla morte di 20 mila donne ogni anno.
Il dato più importante era che la donna poteva essere imputata del reato di aborto e quindi molte donne che effettuavano l'aborto clandestino non si presentavano in ospedale quando andavano incontro alle complicanze di interventi il più delle volte eseguiti, soprattutto per le donne povere, in assenza delle necessarie precauzioni di sterilità. Quindi quando avevano la febbre si limitavano a starsene a casa sperando che gli passasse, ma questo faceva sì che l'infezione post-operatoria degenerasse in setticemia, e quindi quando arrivavano in ospedale non restava che ricoverarle in rianimazione dove morivano dopo qualche giorno. [*]
Pubblico di seguito la lettera di una donna processata nel 1973 per violazione dell'art.546 del codice Rocco in seguito ad un "procurato aborto" avvenuto otto anni prima. Un processo iniziato oltre 40 anni fa e che forse non si è mai realmente concluso. Nei confronti delle donne certamente no.
LETTERA APERTA DI UNA DONNA A TUTTE LE DONNE
A 17 anni filavo con un ragazzo e non mi pareva sbagliato fare l'amore con lui. Della pillola, o cose simili, in un piccolo paese di campagna, come il mio, se ne parla poco anche adesso; figurarsi 8 anni fa... Così è successo che rimasi incinta. Che fare? Sposarmi? Ma "l'altro" chi lo aveva più visto? E allora dovevo tenermi questo figlio da sola? Mi rendevo conto, forse inconsciamente, che avere un figlio vuol dire precludersi molte possibilità di avere una "vita sociale" a maggior ragione se questo figlio te lo devi allevare e curare tutto da sola; senza contare che sarei stata per tutti “una povera ragazza-madre”. Ma se anche avessi voluto sposarmi o tenermi il figlio, come avrei fatto? Oggi avere un figlio costa un mucchio di soldi. Io non ero certo in grado a 17 anni e senza lavoro di potermelo permettere. Decisi di abortire, con soldi presi a prestito e in condizioni da macello (dalla mammana sul tavolo di cucina). Credevo che il mio incubo fosse finito e l'ho creduto per un po' di tempo, finché, a causa di avvenimenti troppo lunghi da raccontare qui, mi salta fuori questa denuncia per aborto! Nel frattempo mi ero sposata; avevo avuto una bambina; mi ero separata da mio marito. Lavoravo e vivevo con la bambina. Quando però si è saputo che sarei stata processata per aborto sono stata licenziata in tronco. Inutile dirlo, a lavorare non mi ha preso più nessuno. Ho dovuto tornare dai miei genitori che mi danno da mangiare e da dormire in cambio del mio lavoro in casa. Ora ho capito che tutto quanto mi è capitato non è una mia disgrazia personale. Tutte noi donne ci troviamo da sempre in condizione di non poter decidere se e quando vogliamo fare i figli. Penso che sia ora che noi stesse, in prima persona, cominciamo a darci da fare per cambiare questo stato di cose. Perciò ho deciso di pubblicizzare al massimo il mio processo, perché non si tratta di un processo solo contro di me, ma contro la libertà di tutte le donne di poter decidere di loro stesse!
Gigliola Pierobon
.
17 gennaio 2008
Oltre 100 chilometri con un litro di sangue
Il 18 dicembre scorso Shankar Patra, di 45 anni, del Khaser Bheri decide di impiccarsi nella stalla della sua fattoria. E’ il quarto suicidio dall’inizio del processo di esproprio delle terre ai contadini da parte del governo del Bengala occidentale per far spazio agli stabilimenti della Tata Motors Car.
Il progetto della Tata Motors è stato accompagnato sin dall’inizio da una scia di sangue. Un grosso numero di persone è stato coinvolto da cariche della polizia e da bombardamenti di gas lacrimogeno che hanno provocato la morte 7 persone. Tra le atrocità commesse ci sono lo stupro di gruppo e l’uccisione della giovane attivista Tapasi Malik, la morte provocata dalla polizia del giovane Raj Kumar Bhul, la morte per fame di Bimala Khamaru e altri tre suicidi.[*]
Qualche giorno fa, inaspettatamente, anche i media del nostro bel paese hanno preso ad occuparsi di Tata Motors. Naturalmente non per denunciare gli espropri, le proteste, le aggressioni, gli stupri, i suicidi, gli omicidi che recano il marchio della nota azienda indiana, ma piuttosto prestandosi a fare da cassa di risonanza per l'annuncio del generoso regalo di Tata all'umanità:
ARRIVA NANO, A 1.700 EURO L'AUTO MENO CARA DEL MONDO.
Non fa notizia raccontare che il basso costo de "L'auto del popolo" è calmierato dal prezzo del sangue versato in suo nome. Quello che conta casomai è capire se e quando arriverà in Europa, e nel frattempo ribadire al mondo che in tutto questo
"l'alleanza con Fiat è meravigliosa"
Il progetto della Tata Motors è stato accompagnato sin dall’inizio da una scia di sangue. Un grosso numero di persone è stato coinvolto da cariche della polizia e da bombardamenti di gas lacrimogeno che hanno provocato la morte 7 persone. Tra le atrocità commesse ci sono lo stupro di gruppo e l’uccisione della giovane attivista Tapasi Malik, la morte provocata dalla polizia del giovane Raj Kumar Bhul, la morte per fame di Bimala Khamaru e altri tre suicidi.[*]
Qualche giorno fa, inaspettatamente, anche i media del nostro bel paese hanno preso ad occuparsi di Tata Motors. Naturalmente non per denunciare gli espropri, le proteste, le aggressioni, gli stupri, i suicidi, gli omicidi che recano il marchio della nota azienda indiana, ma piuttosto prestandosi a fare da cassa di risonanza per l'annuncio del generoso regalo di Tata all'umanità:
ARRIVA NANO, A 1.700 EURO L'AUTO MENO CARA DEL MONDO.
Non fa notizia raccontare che il basso costo de "L'auto del popolo" è calmierato dal prezzo del sangue versato in suo nome. Quello che conta casomai è capire se e quando arriverà in Europa, e nel frattempo ribadire al mondo che in tutto questo
"l'alleanza con Fiat è meravigliosa"
13 gennaio 2008
Alfredo Ormando: 10 anni di assordante silenzio
Chiedo scusa per essere venuto al mondo, per aver appestato l’aria che voi respirate con il mio venefico respiro, per aver osato di pensare e di agire da uomo, per non aver accettato una diversità che non sentivo, per aver considerato l’omosessualità una sessualità naturale, per essermi sentito uguale agli eterosessuali e secondo a nessuno, per aver ambito a diventare uno scrittore, per aver sognato, per aver riso.
Così scriveva Alfredo Ormando in uno di quei libri che nessuna casa editrice accettò mai di pubblicare.
Soltanto l’aiuto della madre, pensionata ultraottantenne che decise di sostenerlo economicamente nell’impresa, potrà consentirgli di veder realizzato, almeno in parte, il suo grande desiderio di raccontare le emozioni e le contraddizioni della sua esistenza.
Un traguardo costato tanti, troppi sacrifici, come del resto è stato per ogni singola tappa della sua breve ma travagliata storia.
Nasce nella provincia di Caltanissetta, da una famiglia umile, i genitori analfabeti, prima contadini e poi operai. Solo a vent’anni riesce a conseguire la licenza media come privatista e poi, allo stesso modo, il diploma a 35. La laurea invece gli sarà conferita postuma, dopo la sua morte, alla memoria. Un esame di latino scritto andato male non gli consentì di goderne in vita.
Nella sua terra affronta e combatte il provincialismo e il pregiudizio ostile della sua gente e soprattutto conosce quello, più doloroso, che gli impedirà di vivere appieno la sua fede.
«Ho sperimentato in prima persona cosa significhi salire e scendere le scale altrui, sentirsi un «marocchino» nel proprio Paese... vivere all'ombra di mia madre, essere umiliato, vilipeso, osteggiato, emarginato e porre fine ai miei giorni con il suicidio»
Ed è così che il 13 gennaio del 1998, dopo aver chiesto in prestito centomila lire ad un affittacamere di Palermo e non prima aver avvisato la madre di un suo imminente viaggio per studio, Alfredo parte per Roma.
Là compra ad un distributore automatico la benzina, nasconde poi la tanica in una borsa e infine si avvia verso Piazza San Pietro.
Si fa torcia umana. Una donna lo vede correre avvolto dalle fiamme verso il centro della piazza.
I soccorsi partono immediatamente.
Qualcuno raccoglie le sue ultime parole: “Non sono neanche stato capace di morire”
In realtà il suo obiettivo sarà raggiunto solo più tardi del previsto, come sempre pagato a caro prezzo:
9 giorni di atroci sofferenze. Gli ultimi.
Dopo la sua morte, quando ancora non si era a conoscenza dei suoi scritti, il portavoce della sala stampa vaticana si affrettò a sostenere la mancanza di un nesso tra il gesto di Alfredo e la sua omosessualità, e soprattutto escluse la possibilità che si potesse trattare di una forma di protesta contro la Chiesa Cattolica.
Pochi giorni dopo l’ANSA riceve alcune delle lettere spedite da Alfredo e decide di pubblicarne una parte.
LETTERA AUTOGRAFA DI ALFREDO ORMANDO AD UN AMICO:
Palermo, Natale 1997
Caro Adriano, quest'anno non sento più il Natale, mi è indifferente come tutte le cose; non c'è nulla che riesca a richiamarmi alla vita.
I miei preparativi per il suicidio procedono inesorabilmente; sento che questo è il mio destino, l'ho sempre saputo e mai accettato, ma questo destino tragico è là ad aspettarmi con una certosina pazienza che ha dell'incredibile.
Non sono riuscito a sottrarmi a questa idea di morte, sento che non posso evitarlo, tantomeno fare finta di vivere e progettare per un futuro che non avrò: il mio futuro non sarà altro che le prosecuzione del presente.
Vivo con la consapevolezza di chi sta per lasciare la vita terrena e ciò non mi fa orrore, anzi!, non vedo l’ora di porre fine ai miei giorni; penseranno che sia un pazzo perché ho deciso piazza San Pietro per darmi fuoco, mentre potevo farlo anche a Palermo.
Spero che capiranno il messaggio che voglio dare: è una forma di protesta contro la Chiesa che demonizza l’omosessualità, demonizzando nel contempo la natura, perché l’omosessualità è sua figlia.
Alfredo
Dopo la pubblicazione gli organi di stampa vaticana non hanno mai più trattato l’argomento, scegliendo di chiudersi in uno spregevole silenzio che compie oggi dieci anni.
11 gennaio 2008
I consigli di Bush
«Questo luogo sarà da ammonimento che il male esiste e che bisogna resistergli»
Così oggi George W. Bush in visita al museo dell’Olocausto di Gerusalemme.
Poiché per una volta condivido appieno le parole del presidente americano, e poiché fatalmente proprio oggi ricorre il sesto anniversario dell’apertura di uno dei centri di detenzione più tristemente famosi nel mondo, simbolo delle violazioni dei diritti umani, ho deciso di raccogliere il suo appello per conformarlo alla circostanza.
L’11 gennaio 2002 gli Stati Uniti realizzano l’apertura di un campo di prigionia nella base di Guantanamo (Cuba) destinato alla detenzione dei sospettati di attività collegate al terrorismo internazionale.
Nei confronti della maggior parte dei “sospettati” non pende però alcuna accusa ufficiale. Solo una piccolissima percentuale di essi è infatti sottoposta a regolare processo. Tutti gli altri stazionano invece in una sorta di limbo giudiziario che li esclude di fatto da qualsiasi forma di garanzia posta a tutela dei diritti fondamentali. Non trattandosi di “prigionieri di guerra” non possono invocare il rispetto della Convenzione di Ginevra, non essendo imputati per reati ordinari non possono delegare la propria difesa ad un avvocato. Una anomala condizione resa possibile dal semplice “sospetto”, che da solo sembrerebbe voler legittimare non solo la detenzione illimitata, ma persino le violenze che ai reclusi vengono arrecate quotidianamente.
Ogni giorno, a Guantanamo, un detenuto viene sessualmente violentato, torturato ed interrogato anche per 20 ore consecutive. La tortura sia fisica, sia psicologica è sistematica e di routine. Gli scherni contro la religione, il disprezzo e gli insulti contro i detenuti arabi e musulmani è una costante… (*)
E allora, contro tutti i Lager, opponiamoci al male e alle sopraffazioni come consiglia il presidente Bush: chiediamogli di chiudere Guantanamo!
L’appello di Amnesty International
Approfondimenti e testimonianze sul sito www.chiudereguantanamo.it realizzato in occasione di questo anniversario.
9 gennaio 2008
Considero valore
Considero valore concedermi il piacere a volte di leggere una poesia
considero valore conoscerne a memoria alcune, per compagnìa
considero valore l'eventualità che una poesia si possa amare
magari in seguito a un incontro accidentale su un modesto blog
Considero valore ogni forma di vita,
la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finchè dura il pasto,
un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si e’ risparmiato,
due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varra’ piu’ niente,
e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua,
riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo,
accorrere a un grido,
chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordarsi di che.
Considero valore sapere in una stanza dov’e’ il nord,
qual e’ il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo,
la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l’uso del verbo amare
e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.
Erri de Luca, da Opera sull’acqua e altre poesie, Einaudi (2002)
8 gennaio 2008
Operai
Arturo Chiappelli, 43 anni, spazzino disoccupato, colpito al cuore da un cecchino mentre, da solo, attraversava i binari della ferrovia. I suoi compagni dovettero attendere del tempo prima di recuperarne il corpo: il cecchino continuava a sparare all’impazzata.
Roberto Rovatti, 36 anni, operaio, percosso ripetutamente con i calci dei fucili, scaraventato in un fossato e infine ucciso con un colpo di arma da fuoco sparato a distanza ravvicinata.
Angelo Appiani, 3O anni, meccanico, freddato da alcuni colpi di fucile mentre si trovava davanti ai cancelli delle Fonderie con altri 4 lavoratori.
Ennio Garagnani, 21 anni, carrettiere, colpito alla nuca mentre cercava di allontanarsi dalla zona calda degli scontri.
Renzo Bersani, 21 anni, operaio metallurgico, anche lui colpito alle spalle mentre cercava di fuggire.
Arturo Malagoli, 21 anni, operaio, freddato davanti ad un passaggio a livello in circostanze non accertate.
Con loro almeno altre 200 persone ferite durante la mattanza.
"La caccia è aperta : 6 operai morti a Modena"
Questo lo striscione che il mattino dopo capeggiò il corteo del dolore e dell’indignazione.
Un massacro studiato a tavolino e portato a compimento con straordinaria determinazione.
Polizia e Carabinieri adoperati come sicari per un eccidio che sembrava voler essere “esemplare” nel chiaro intento di mettere tacere le masse operaie e indebolire le organizzazioni politiche e sindacali che le sostenevano.
Di fatto quegli uomini pagarono con la vita la scelta di difendere il lavoro, il loro lavoro.
Tutto comincia con la decisione da parte delle Fonderie Riunite di Modena di dar luogo ad una serrata che manda sulla strada 560 operai. Le motivazioni ufficiali parlarono di una necessaria riduzione della mano d’opera in eccesso, in realtà era il metodo più sbrigativo per sbarazzarsi degli elementi indesiderati, come dimostra poi l’annuncio di riassunzione che riguarda solo metà degli operai licenziati.
Inevitabile da parte dei lavoratori la decisione di indire una giornata di sciopero e una manifestazione di protesta prevista per le ore 10 del 9 gennaio 1950 in Piazza Roma.
Fu proprio a quell’ora che cominciarono a riecheggiare i colpi di fucile tra le mura della città, proprio mentre i lavoratori confluivano da più parti, alcuni diretti verso la piazza, altri verso le Fonderie, e comunque certamente prima che riuscissero ad organizzarsi in un unico corteo.
Il bilancio finale rivela eloquentemente quanto avvenne quel tragico giorno: 6 morti e 50 feriti fra i lavoratori (ma vengono stimati almeno altri 150 feriti che rifiutarono di recarsi in ospedale per paura di arresti al pronto soccorso), e solo tre contusi fra le forze di polizia.
Due giorni dopo 300 mila persone parteciparono ai funerali delle sei vittime. Tra loro c'è anche Palmiro Togliatti che parla alla folla commossa. Avrebbe poi deciso di adottare, insieme alla sua compagna Nilde Jotti, la sorella minore di una delle vittime dell’eccidio, Marisa Malagoli Togliatti, ora docente universitaria.
Il suo discorso si conclude con parole che sembrano essere state pronunciate solo ieri:
Dobbiamo far uscire l'Italia da questa situazione dolorosa. Vogliamo che l'Italia diventi un paese civile, dove sia sacra la vita dei lavoratori, dove sacro sia il diritto dei cittadini al lavoro, alla libertà, alla pace!
Sono trascorsi 58 anni, certamente non posso dire che siano trascorsi invano, ma ancora non sono del tutto sicuro che si sia ormai acquisita piena consapevolezza della sacralità della vita dei lavoratori.
Di sicuro le serrate delle fabbriche non sono mai passate di moda.
6 gennaio 2008
Due piccioni con una canzone
Oltre all'epifania, in Italia, si celebra quest'oggi il compleanno di Adriano Celentano.
Ebbene, proprio oggi, mentre Adriano festeggia i suoi 70 anni, Paolo Conte, altro gigante della musica italiana, ne compie 71.
Ma non è il solo particolare che li accomuna: molti sapranno infatti che uno dei più grandi successi di Adriano è in realtà opera di Paolo.
Una intramontabile canzone che qui userò per rendere omaggio a entrambi.
Azzurro
Cerco l’estate tutto l’anno
e all’improvviso eccola quà...
lei è partita per le spiagge
io sono solo quaggiù in cittá,
sento fischiare sopra i tetti
un aereoplano che se ne va.
Azzurro.
il pomeriggio è troppo azzurro,
e lungo per me,
mi accorgo
di non avere più risorse
senza di te,
e allora
io quasi quasi prendo il treno
e vengo, vengo da te,
ma il treno dei desideri,
nei miei pensieri all’incontrario va.
Sembra quand’ero all’oratorio
con tanto sole, tanti anni fa...
quelle domeniche da solo
in un cortile a passeggiar...
ora mi annoio più di allora
neanche un prete per chiacchierar...
Azzurro…
Cerco un po’d’Africa in giardino
tra l’Oleandro e il Baobab,
come facevo da bambino,
ma quì c’è gente, non si può più
Stanno innaffiando le tue rose,
non c’è il leone, chissà dov’è...
Azzurro…
.
Ebbene, proprio oggi, mentre Adriano festeggia i suoi 70 anni, Paolo Conte, altro gigante della musica italiana, ne compie 71.
Ma non è il solo particolare che li accomuna: molti sapranno infatti che uno dei più grandi successi di Adriano è in realtà opera di Paolo.
Una intramontabile canzone che qui userò per rendere omaggio a entrambi.
Azzurro
Cerco l’estate tutto l’anno
e all’improvviso eccola quà...
lei è partita per le spiagge
io sono solo quaggiù in cittá,
sento fischiare sopra i tetti
un aereoplano che se ne va.
Azzurro.
il pomeriggio è troppo azzurro,
e lungo per me,
mi accorgo
di non avere più risorse
senza di te,
e allora
io quasi quasi prendo il treno
e vengo, vengo da te,
ma il treno dei desideri,
nei miei pensieri all’incontrario va.
Sembra quand’ero all’oratorio
con tanto sole, tanti anni fa...
quelle domeniche da solo
in un cortile a passeggiar...
ora mi annoio più di allora
neanche un prete per chiacchierar...
Azzurro…
Cerco un po’d’Africa in giardino
tra l’Oleandro e il Baobab,
come facevo da bambino,
ma quì c’è gente, non si può più
Stanno innaffiando le tue rose,
non c’è il leone, chissà dov’è...
Azzurro…
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Treni di ieri e treni di oggi
Il 6 gennaio 1896 "l'arrivo di un treno nella stazione di La Ciotat" si rivelò un'esperienza a dir poco sorprendente per coloro che a Parigi ebbero il privilegio di assistere alla proiezione della celebre pellicola dei fratelli Lumière.
Dal fondo una locomotiva avanza, dapprima è piccola e lontana, poi, man mano che si avvicina alla stazione, la sua dimensione cresce, si allarga sempre più, finisce per occupare gran parte dello schermo. Una sequenza apparentemente semplice, capace però di mostrare una profondità d'immagine mai raggiunta sullo schermo fino a quel momento.
Gli spettatori, tuttavia, anzichè rallegrarsi per i progressi della tecnica di cui erano stati resi testimoni, pensarono bene di trovare riparo sotto le sedie nel timore che la locomotiva potesse travolgerli.
Di certo non potevano sapere che proprio quella reazione li avrebbe resi non solo testimoni ma perfino protagonisti assoluti nella nascita del cinematografo inteso come "fabbrica delle emozioni".
Di certo non potevano sapere che esattamente 112 anni dopo, il 6 gennaio 2008, l'arrivo di un altro treno avrebbe ambito ad emozionarci ancora, e soprattutto che ancora una volta molti spettatori avrebbero preferito darsi alla fuga...
“Il Treno dei desideri”, condotto da Antonella Clerici su Rai Uno, saluterà il pubblico domenica 6 gennaio alle 21.30 con l’ultimo appuntamento legato alla tradizionale estrazione finale da 5 milioni di euro della Lotteria Italia.
Dal fondo una locomotiva avanza, dapprima è piccola e lontana, poi, man mano che si avvicina alla stazione, la sua dimensione cresce, si allarga sempre più, finisce per occupare gran parte dello schermo. Una sequenza apparentemente semplice, capace però di mostrare una profondità d'immagine mai raggiunta sullo schermo fino a quel momento.
Gli spettatori, tuttavia, anzichè rallegrarsi per i progressi della tecnica di cui erano stati resi testimoni, pensarono bene di trovare riparo sotto le sedie nel timore che la locomotiva potesse travolgerli.
Di certo non potevano sapere che proprio quella reazione li avrebbe resi non solo testimoni ma perfino protagonisti assoluti nella nascita del cinematografo inteso come "fabbrica delle emozioni".
Di certo non potevano sapere che esattamente 112 anni dopo, il 6 gennaio 2008, l'arrivo di un altro treno avrebbe ambito ad emozionarci ancora, e soprattutto che ancora una volta molti spettatori avrebbero preferito darsi alla fuga...
“Il Treno dei desideri”, condotto da Antonella Clerici su Rai Uno, saluterà il pubblico domenica 6 gennaio alle 21.30 con l’ultimo appuntamento legato alla tradizionale estrazione finale da 5 milioni di euro della Lotteria Italia.
Io buono sono sempre stato
Alla Befana
Mi hanno detto, cara Befana,
che tu riempi la calza di lana,
che tutti i bimbi, se stanno buoni,
da te ricevono ricchi doni.
Io buono sono sempre stato
ma un dono mai me l’hai portato.
Anche quest’anno nel calendario
tu passi proprio in perfetto orario,
ma ho paura, poveretto,
che tu viaggi in treno diretto:
un treno che salta tante stazioni
dove ci sono bimbi buoni.
Io questa lettera ti ho mandato
per farti prendere l’accelerato!
O cara Befana, prendi un trenino
che fermi a casa d’ogni bambino,
che fermi alle case dei poveretti
con tanti doni e tanti confetti.
(Gianni Rodari)
5 gennaio 2008
Saldi, corsa agli sconti per le famiglie
Roma, 5 gennaio
Saldi: Corsa agli sconti per il 57% delle famiglie.
Spenderanno complessivamente quasi 5mld (Apcom)
Foto: Tony Karumba
Kenya Elections Violence. A man flees from the violence with his children.
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